mercoledì 18 dicembre 2013

tempi

ci sto mettendo troppo a completare il percorso di presa di coscienza di me stesso.

ci sto mettendo troppo perchè leggo/vedo delle esperienze altrui e di condizioni apparentemente peggiori ma gestite da "professionisti" delle situazioni complicate, forse perchè più bravi, forse perchè dotati di un animo granitico.

ci sto mettendo troppo perchè io questa condizione l'ho acquisita e non ci sono nato, per cui ho dovuto imparare da adulto. e di sicuro i bambini imparano più in fretta (anche se poi nel periodo dell'adolescenza saranno amari peni).

ci sto mettendo troppo perchè sono cresciuto con l'insegnamento che tutto è bello e che il male succede sempre ad altri e che la giustizia prima o poi trionferà. e quando ti accorgi che la realtà è ben differente sono dolori.

ci sto mettendo troppo perchè ad un certo punto mi sono ritrovato in completa solitudine a tirare la carretta. e quei pochi che mi erano vicini, più che ascoltarmi un po' che potevano fare?

ci sto mettendo troppo perchè la vita va avanti, scorre. e nel frattempo le cose cambiano. si cresce, i punti di vista che una volta ci sembravano pietre miliari ora sono solo delle indicazioni stradali sommerse nella vegetazione che nessun viandante nota. e così bisogna adeguare i cambiamenti a quello che di giorno in giorno si impara.

insomma, non sono soddisfatto di me alla fine, perchè ci sto mettendo troppo (s'era capito?).

però agli occhi di qualche persona hai fatto un gran lavoro. alcuni ti lodano per la tranquillità mostrata nel gestire la situazione. io so che non è stato sempre così, so che col tempo mi sono incattivito, che i momenti di insicurezza sono frequenti. e so che non sono questa particolarità. so che il quotidiano è costellato di persone che affrontano problemi più o meno grandi.

quindi non mi ritengo poi così bravo nella gestione della situazione. c'ho messo e ci sto mettendo troppo ad imparare. lo metto nei proponimenti per il 2014 di imparare a gestirmi meglio (oltre a quello di trombare di più, che vale per ogni anno a venire fino a che morte non ci separi).

giovedì 12 dicembre 2013

lavori in corso

quando sei ricoverato e i tuoi sintomi sono ascrivibili a parecchie condizioni patologiche, cosa si fa? semplice: si effettuano tutti gli esami possibili per cercare di venire a capo del problema o quantomeno iniziare ad escludere alcune delle possibili cause.

iniziano così le varie analisi del sangue. uno dei virus più ricercati in questi casi è quello dell'Epstein Barr. detto in parole più povere, quello della Mononucleosi. il romantico virus che si diffonde di solito mediante il pomicio adolescenziale. in alcuni casi molto rari, questo virus ti si riversa contro e scatena la sindrome di Guillame Barrè (mi si perdonino gli errori eventuali sui nomi, ma vado a memoria...), una simpatica sindrome che si cura con una banale plasmaferesi ma da prendere in tempo se non si vuole aggiungere una lapide al camposanto. incidenza di uno-due ogni centomila. ovviamente non era quella perchè è una sindrome a decorso acutissimo (spesso anche nel giro di poche ore). (che poi ho avuto modo di conoscere anche un ragazzo che ne è stato affetto, quando si parla di calcolo delle probabilità...fanculo ai professori di statistica). un altro virus è il citomegalovirus. e poi via via tutti gli altri.

si cercano cause come epilessia o simili. quindi esami con simpatici fasci di luce sparati negli occhi.

risonanza magnetica, il minimo. tre ore dentro un tubo del cazzo. se non sono diventato fosforescente quella volta dovrei poter sopportare anche Fukushima.

vari esami con corrente elettrica ai nervi, induzione magnetica (questo me lo ricordo bene: immaginate delle botte in testa senza che il pugno vi tocchi...uno strumento diabolico).

e poi, visto che il dilemma rimaneva, si sono cercate anche cause meno convenzionali. così c'è finito di mezzo pure un test HIV. ero abbastanza sicuro di non aver fatto minchiate ma insomma, siccome alla sfiga non c'è limite, ho fatto pure quello (tra l'altro ho saputo poi che i miei sintomi, se fossero stati ascrivibili all'HIV, sarebbero stati solitamente quelli di un malato in stato avanzato). e si sono "dimenticati" di dirmi che il risultato era negativo. era ovvio, ma insomma, se me l'avessero detto...una buona notizia mica guasta l'ambiente.

alla fine ci fu pure la famosa puntura lombare. ora, non so se ne avete mai subita una (subita è il termine giusto), o se siete stati come me fedeli spettatori di Dr.House, ma in Italia qualche anno fa la pratica non era proprio uguale a quella presentata all'ospedale del New Jersey. vi spiego cosa successe: arrivarono i dottori con un carrellino coperto da un lenzuolino. il carrellino "inciampò" nella sponda di un letto presente nella stanza scoprendo il contenuto. ai miei occhi gioiosi arrivò l'immagine dell'ago che di lì a poco sarebbe stato protagonista dell'esame. "Ma...è quello l'ago?" chiesi. "Sì, di solito lo nascondiamo per non spaventare il paziente...ma tu non dovresti aver paura...". no...appena. l'ago, più che un ago era una fiocina. mi misero seduto e l'anestesia locale era rappresentata da ghiaccio spray. all'inizio non sentii nulla ma verso la fine avvertii una spiacevole sensazione di svuotamento. trattenni la sofferenza e non lodai a modo mio quello lassù (medici gentilissimi in quel momento, diciamolo e plaudiamo). dopo questa ennesima fatica dalla quale le aspettative si impennarono, risultò l'ennesima delusione. liquor limpido, cioè, nulla.

dopo due settimane mi dimisero senza diagnosi.

(PS:mi ravanarono anche alla ricerca di tumori, ma questo l'ho saputo dopo)
(PPS:ovviamente continua)

lunedì 9 dicembre 2013

una domenica di ordinarie domande

"no, è che sono in auto con E."
"con chi?"
"eh, è una novità, poi ti racconto. non ti dice niente E. Cognome?"
"beh, no...mica lavoro all'anagrafe..."
"sì, immagino. tu sei rimasto a quella di quest'estate"

sono davanti al computer, vuoi che non mi tolga la curiosità? su facebook che tutto rivela faccio questa ricerca. accidenti, una mezza fotomodella. "informazioni personali": cazzo, di quindici anni più giovane...e scatta il confronto.

il confronto, sì. perchè so bene che io con una del genere neanche ci avrei parlato. ormai quando vedo una che fa dell'estetica il suo cavallo di battaglia non penso neanche per un microsecondo ad un approccio. non che quelle cui mi approccio io siano dei cavedani su gambe, ma col tempo ho dovuto cambiare il tipo di ragazza di riferimento.

risparmiamoci la solita manfrina secondo la quale l'estetica non conta, o secondo la quale "se una ti vuole bene poi tutti i problemi si appianano". quest'ultima frase in realtà non è del tutto falsa, il problema è che è più facile innamorarsi di un fisico aitante piuttosto che di uno menomato delle prestazioni. così alla fine il tutto si riduce alla solita domanda: "Che fai quindi, rinunci? Non lotti?". no. non rinuncio. però è ovvio che ogni tanto sento anche io il bisogno di non prendere tramvate sui denti. fai un tentativo, e va male. ne fai due e ti senti trattare come un pirla. al terzo senti una scusa farfugliata e ti rendi conto che non ti sei perso granchè. alla quarta, un po' ti abbatti perchè magari ci tenevi. alla ventesima inizi un attimo a rallentare perchè anche tu hai bisogno di qualche conferma, hai bisogno che quel barlume di autostima che ti è rimasto non si spenga del tutto.

poi ogni tanto la pazienza salta. quella vena del collo si tappa e il cervello reagisce a modo suo. e piuttosto che instaurare un dialogo, gliela domandi senza colpo ferire, che almeno non perdi tempo e non ti senti trattare come un asessuato. penso sia inutile dire che trattare una donna come un sacco di patate ti ridà indietro solo quello che meriti, cioè nulla. però io non voglio finire sul calendario come martire...

"ma dai, sei tanto un bel ragazzo, di sicuro è perchè non la vuoi tu..."
"ci facciamo una birretta?"
"ma no, cosa hai capito..."
"avevo capito che 'non la volevo io' ".

"ma certo, tu magari parti svantaggiato, però se una ha voglia di conoscerti poi cambia tutto" disse quella che affermava che mettendo dieci uomini in una stanza, la donna riesce subito a naso a scegliere il migliore (evviva...)

"se uno a trent'anni non è nè fidanzato nè sposato un motivo ci sarà pure"
"grazie eh..."
"ma no, che hai capito, se c'è un motivo buono noi lo capiamo"
"sì, ho visto te con che apertura mentale mi stavi parlando..."

e così via. ti senti lodare per il tuo animo, per la tua mente, e sebbene sai di essere "solo" mezzo sciancato, sai che è su quello che devi puntare, perchè quelli sono i mezzi che hai a disposizione. ma dopo un po' capisci che questi mezzi servono davvero a poco, che si preferisce il tamarro a te, perchè tu non sei quello che una trentenne presenterebbe ai genitori, agli amici, e non sei quello che potrebbe prendere attrezzi vari per riparare la casa o per fari tutta quella serie di attività per cui impolverarsi e costruire così lo stereotipo dell'idraulico che si tromberà la signora che apre la porta in vestaglia. e inevitabilmente, quando vedi tante porte chiudersi di fronte a te, inizi a farti domande. inizi a pensare che noi uomini siamo come un qualsiasi animale in cui il maschio alfa, dopo una lotta con i pretendenti, si arroga il diritto di accoppiarsi con le femmine del branco. e ti convinci che il pensiero sia stata solo una anomalia evolutiva.

però ci riprovi. d'altra parte non saresti nè il primo nè l'ultimo che ce l'ha fatta superando le previsioni avverse. con calma, ma ritenti. che insomma, vorresti non ridurti i denti ad un gruviera adatto solo al semolino. quindi, ok ai pugni in faccia, ma cadenzati...

"secondo me, dovresti andare a troie"
"sì, certo. ma vedi, un po' di sentimento non sarebbe male. magari giocarsela come tutti in quella cosa che qualche antropologo definisce come "corteggiamento". anche perchè alla fine sentirsi apprezzati da qualcuna è anche appagante, aiuta a sentirsi vivi".
"ma figurati..."

disse l'amico dell'inizio del post, che sceglie tra fotomodelle, e diventa poi tutto "cuore e amore".

lunedì 2 dicembre 2013

gioie e dolori

Le visite avvenivano la mattina. i dottori erano accompagnati dagli studenti della clinica universitaria, in gruppo. osservavano, imparavano, e si preparavano ad essere il futuro della medicina. il professorone che mi fece ricoverare non si vide praticamente mai perchè in quelle due settimane era in ferie. il problema, non era che avesse precedentemente progettato di cullare le sue terga altrove. il problema, quello che mi fece abbastanza alterare, fu il fatto che al suo rientro quando gli altri medici gli presentarono il caso (in mia presenza), rispose con una sufficienza ed una alterigia senza pari. "Ah sì, mi sembra di ricordare il caso". ti sembra di ricordare? prima mi tratti come un coglione, poi mi guardi da lontano, senza più preoccuparti di nulla. avevo già capito che tipo fosse quando gli infermieri entrarono in fretta e furia in camerata riordinando tutto, allarmati dal rientro di Mengele de noantri. quando tolsero dalla vista il libro che tenevo sul comodino i miei coglioni iniziarono un pochino a girare vorticosamente. e poi mi conosco. quando sento puzza di autorità arrogante è una delle situazioni in cui perdo la mia solita prudenza. così iniziai a rispondergli a mezza bocca, calcolandolo il meno possibile, o rispondendo direttamente agli alunni, che sicuramente non avranno avuto esperienza, ma di sicuro un po' di interesse.

voglio dimenticare quell'immenso coglione, anche perchè poi ho avuto modo di ricredermi fortemente sull'umanità di medici e infermieri, che ricordiamolo, non sono automi al nostro servizio, ma esseri umani.

e in effetti, esseri umani a tutti gli effetti. come in ogni ambiente popolato da giovani studenti, il livello di gnocca era decisamente alto. così, oltre all'equipe che mi seguiva, c'erano altri studenti che applicavano i loro studi ai vari esami da effettuare. come avrò modo di specificare in seguito, diversi di questi esami prevedono l'uso di simpatiche scariche elettriche sulle vie nervose. in una di queste stanze ho incontrato il medico piacione e la giovane praticante (in perfetto stile Alvaro Vitali). il medico cercava giustamente di fare il simpatico, un po' spiegando, un po' interrogando la ragazza. dalla teoria alla pratica: "Allora, devo attaccare il filo rosso, quello nero... e poi, la tensione di riferimento...", e il gioco di sguardi continuava. io, che da un paio di giorni andavo prendendo scosse ripetute, seppur per dovere di laboratorio, osservavo attentamente dove metteva le mani la signorina. dopo un po' di incertezza le dissi: "Ehm...quel cavo lì va collegato a massa...". mi guardarono con un misto tra lo stupore e il diffidente verso colui che aveva appena interrotto il loro primaverile tubare. "spero mi scuserete...sono un po' del settore e sarei un pochino stufo di essere usato come lampadina...".

ma, a parte questi due estremi (il secondo poi lo giustifico, e l'esame che ne seguì fu condotto scrupolosamente), il tutto andò secondo ogni corretto dettame medico. 

mercoledì 27 novembre 2013

happy family

mesi e mesi di lavoro interiore per ricostruirsi una parvenza di autostima. fisioterapie, rinunce e inaspettati piccoli successi. perseveranza, insistenza e costanza, il tutto in un unico mix necessario a dimostrare che ci sei, che il cambiamento di piani non ti ha fiaccato del tutto. che puoi farcela, in una maniera differente, ma puoi farcela.

tutto questo comporta un enorme dispendio di energie. energie che sono incanalate in quell'unica via in cui ti sei gettato a capofitto, e che non si disperdono perchè stai utilizzando dei paraocchi che non devono in nessun modo farti perdere di vista la riga mezzana sull'asfalto.

ma, cazzo. anche il viaggiatore compulsivo si deve fermare di tanto in tanto. fermarsi al primo autogrill per le proprie deiezioni. e per poi prendersi il panino Camogli. per poi uscire seguendo il percorso che ti porta di fronte ai banchi delle specialità regionali. e queste specialità, l'acquolina in bocca te la fanno venire sempre. anche se il tuo Camogli è già stato indirizzato per le oscure vie del tubo digerente.

così, anche l'uomo la cui autostrada si intreccia coi cavalcavia dalla pendenza del 30% causati dalle impervie fisioterapie, si ferma nella piazzola di sosta di una cena tra amici. che onestamente all'inizio mi sarei evitato. paure, paranoie e ipocondrie. e anche perchè la prospettiva della famiglia del mulino bianco a volte spaventa. soprattutto quando vivi come il Gobbo di Notre Dame. però sei stato il testimone di nozze del suo matrimonio, ed è da mesi che non vi vedete. e poi, devi pure affrontare il mondo là fuori.

appena arrivo, scendo dall'auto e sotto la pioggia battente mi dirigo all'ingresso. mi accoglie la figlia, quasi treenne. una esplosione di gioia. la tv è puntata su un qualche canale che trasmette cartoni animati. il padre abbraccia la figlia e la alza. mi dice che il lavoro che svolge è duro, però quando torna a casa e la vede correre, manda a fanculo il resto e si sente felice. il suo sorriso è limpido, sincero. come non ne vedevo da tempo. vedo quella semplice normalità che per ora mi è preclusa. perchè la mia vita attuale è segnata da diverse costrizioni. il lavoro di fisioterapia innanzi tutto. che è necessario. ancora di più da quando i risultati si sono visti. però il tutto occupa tempo ed energie. tornare a casa e sapere di doversi mettere a fare bicicletta, vogatore, ecc. non è sempre questa immensa gioia. anche io lavoro durante il giorno e a volte torno stanco, a volte, semplicemente mi girano i coglioni. in questi giorni, mentre mi cambio e indosso la tuta, passo alcuni istanti ad incitarmi da solo. devi farlo. e basta. e quindi il fine settimana sei stremato. le forze sono al lumicino e curare la vita sociale diventa difficile. e ad una certa età, ti rendi conto che tu vorresti essere un po' come questo tuo amico. vorresti essere un banalissimo membro di una famiglia tua e non il prototipo di una macchina imperfetta che deve lavorare il triplo per ottenere briciole.

a tavola, inevitabilmente mi chiedono come sto, come procede la vita. mi dicono che se la cosa mi infastidisce posso evitare l'argomento. ma io non voglio. racconto di tutto il lavoro che faccio, dei dolorini vari che questo comporta, e del fatto che a causa di questo sono mesi che non faccio una dormita come Cristo comanda (da questo punto di vista sono come un neo-genitore, solo che lui non si alza smadonnando. forse). racconto dei problemi che incontro nel relazionarmi con la gente, di pregiudizi in cui incappo e di paure - talvolta anche infondate - che mi tormentano. gli racconto che sto attraversando un periodo in cui lo stress accumulato non ha una valvola di sfogo, che mi accendo di rabbia per quisquilie, e che trombare come un riccio aiuterebbe parecchio. per un fatto fisico ovvio e per un fattore di autostima. che comprenderebbe il fatto che la ragazza in questione è venuta con te perchè ti apprezza, perchè ha avuto la voglia di conoscerti, di approfondire il discorso, perchè per una volta alla visione di una stampella non ha pensato che tu sia una "bella persona asessuata" che si berrà ogni scusa.

"Ma riesci a trovare un po' di tempo libero per te?"
"Se va bene, un paio d'ore la settimana le trovo"
ecco. dopo questa affermazione l'ho invidiato un po' meno e la sindrome di Erode è ritornata a brillare in tutto il suo splendore. ciò non toglie che certe cose per ora le vedo lontanissime, evanescenti. quasi come quel famoso cono di luce in fondo al tunnel nelle esperienze pre-morte.

dopo tutta questa riflessione, a che conclusioni si giunge? a nulla. i "se" o i "come sarebbe stato se" ovviamente rientrano nel campo delle ipotesi non verificabili e quindi utili solo se come lavoro fai lo scrittore. ma io lavoro nel campo dell'informatica e per deformazione professionale, mi aspetto che l'output sia congruente con i dati che ho avuto in ingresso. e direi che questo riassume bene il tutto.

lunedì 25 novembre 2013

prime emozioni

il reparto neurologia di un ospedale non è proprio quello che un pittore di paesaggi sceglierebbe come soggetto. anche se a dirla tutta, ha in effetti un che di impressionista, con le ombre che diventano colori e trasformano la figura umana in un qualcosa di molto diverso da quella che sarebbe rappresentata in quadro verista. a volte l'essere umano si trasfigura e i confini rappresentati dalla sua carne si fanno troppo stretti e non riescono più a contenere quel nuovo universo.

ancora spaesato iniziavo a guardarmi intorno. uno dei compagni di stanza che ebbi nel corso di quelle due settimane, aveva con sè un televisore, segno questo che doveva essere abbastanza esperto dell'ambiente. non ci scambiammo mai una sola parola. e io i primi giorni non ero proprio quello che potrebbe definirsi un socievole conversatore. sentii in seguito i medici riuniti tra loro affermare: "Ha il midollo ridotto ad un filino sottile...", e i ragazzi della clinica universitaria, non ancora abituati a quelle consuetudini mediche, si guardarono con occhi smarriti mormorando piccole frasi compassionevoli. e io che ancora stupidamente tra me pensavo che le malattie erano cose che accadevano solo agli altri.

in un'altra stanza ebbi come vicino, tra gli altri, un marinaio abbastanza anziano con un tatuaggio su un braccio simboleggiante lo stemma degli anarchici, di una fattura evidentemente datata, di un tempo in cui tatuarsi non era certo la moda che è oggi. aveva con sè un pc portatile col quale si guardava dei film che la sua bellissima e giovane compagna e sua figlia gli portavano giorno dopo giorno. i lunghi capelli biondi della donna che scendevano fino ai vestiti floreali - un misto tra una figlia dei fiori con tonalità zingaresche ed una ambulante con le caviglie sottili non ancora provate da ore di posizione eretta - portavano un punto di rottura in quell'ambiente così triste e dimesso. fu con lui che provai ad esprimere i primi concetti, ad aprire bocca, per espellere un po' di quelle paure e di quel disagio che mi portavo dentro. ma non fui nè convincente nè accomodante, perchè dopo aver farfugliato qualcosa sul fatto che alla mia età non avrei dovuto essere lì, e soprattutto così inaspettatamente, lui chiuse il tutto con un drastico "Anche io sono stato bene fino ad adesso ed ora eccomi qui", a sottolineare l'ovvietà delle mie esternazioni. e non posso dire avesse torto. di sicuro gli devo essere risultato un grosso coglione. tant'è che fece amicizia con un altro signore ricoverato per una ischemia transitoria e la sua famiglia, e il giorno in cui fui dimesso, quando lo andai a cercare per salutarlo, scoprii che se ne era già andato, di sicuro desideroso di non vedermi più. 

mi ricordo che il primo giorno, anche la signora che passava col pranzo ebbe qualcosa da ridire sul mio atteggiamento. probabilmente le dissi qualcosa di poco gentile, ma davvero non ricordo cosa. e come avrò modo di dire, non è stata l'unica occasione in cui non ricordo qualcosa di quel soggiorno forzato. probabilmente certe forti emozioni a volte sono talmente invadenti da farci espellere quei pensieri che in certi momenti sono di troppo. però, siccome un maschio è un essere semplice (a volte oserei dire semplice come un'entità unicellulare) un segno di rinascita e di forza ci fu nel momento in cui mi resi conto che il materiale umano delle infermiere era costituito da due o tre bionde procaci, che a dispetto dell'aria condizionata tenuta ad un livello tale da simulare l'inverno siberiano (eravamo a luglio) giravano con il camice sbottonato lasciando visibili le notevoli grazie (Dio le abbia sempre in gloria).

io ero spaesato. anche un po' spaventato. ma penso si possa leggere da questo e dai post precedenti che ero anche profondamente immaturo. ero uno dei tanti che aveva ricevuto un'educazione per cui "i problemi capitano agli altri e se succede qualcosa, si nasconde, basta che tu vada in giro col sorriso ebete a dimostrare che tutto va bene". i problemi capitano, ed è necessario essere forti abbastanza per affrontarli senza piagnistei, perchè nel momento in cui noi soffriamo, molto probabilmente anche altri stanno passando pene simili alle nostre e queste persone non possono evidentemente farsi carico di noi. ma allo stesso tempo, dissimulare è stupido. far finta di non avere un disagio è ridicolo. in una situazione di difficoltà, mostrare un dignitoso disagio non è motivo di vergogna nè di umiliazione. ma di strada ne avevo ancora tanta da fare.

lunedì 18 novembre 2013

ti vedo e penso cap.II

un discorso a parte lo meritano i bambini. magari li vedi che giocano, ribaltano il mondo, poi si fermano e ti osservano. vedono che c'è qualcosa di diverso da quello che hanno sempre visto e ti chiedono spiegazioni. se tu educatamente gliele dai, loro constatano la novità e riprendono a fare quello che facevano prima. così ho pensato ai bambini che crescono in classi multietniche. a loro di solito non importa se quel loro compagno di giochi ha la pelle scura o gli occhi a mandorla. vedono che fisicamente sono diversi e stica. il problema nasce quando il bambino ha un genitore stronzo. in quel caso lì allora son guai. perchè il genitore tende a nascondere le diversità o a pitturarle come una anomalia, così il bambino che non si era mai posto certe domande, ora ha un problema da risolvere e cioè compiacere l'adulto. anche a me è capitato il bambino che dopo aver aperto bocca si ritrova un genitore col terrore dipinto sul volto a ricordargli che certe cose non si fanno. è una minchiata ovviamente. far credere ai bambini che al mondo non esistano problemi equivale a fargli credere che viviamo in una favola, e quando poi i problemi effettivamente arrivano (perchè arrivano, quanto consistenti non si sa, ma arrivano) spesso si trovano impreparati e prendono la rogna come una ingiustizia, non come un qualcosa che poteva succedere e alla quale ci si doveva preparare.

poi ci sono gli adolescenti e i post(?)-tardo(?) adolescenti (qualli un po' più vecchi, come si definiscono?). con quelli sono io ad avere problemi. mi sento in difficoltà, tremo un po', le gambe si irrigidiscono per il nervosismo e l'andatura ne risente (è un effetto collaterale che ben conosco e che sto cercando di affrontare al meglio). le volte in cui è successo, in realtà questi ragazzi stavano pensando ai fatti loro, il problema è tutto mio. ho cercato di capire il nesso che intercorre tra il mio nervosismo e la loro vista e forse una risposta sono riuscito a darmela. quando vedo ragazzi di quell'età, proietto il me stesso attuale verso il me stesso adolescente. come tutti, mi sentivo invincibile, nulla mi turbava. osservavo la vecchiaia e la vedevo quasi come un errore dell'anziano stesso, non come una inevitabile tappa dell'esistenza. e ora, quando guardo questi ragazzi, mi immedesimo nei loro pensieri e vedo un me stesso più fragile, di sicuro più consapevole ma in qualche modo ferito, e sento quel senso di invincibilità gravarmi sulle spalle, schiacciandomi.

con l'altro sesso...beh, da quando ho questo problema il numero di fan è miseramente crollato. onestamente, non penso neanche sia una cosa strana o cattiva. ognuno di noi cerca nel partner quella componente di sicurezza che io ad un primo sguardo non posso offrire. ciò non mi giustifica. se voglio che in un giardino ci vengano le api, devo fare in modo che ci siano i fiori. lo stesso vale per me. devo essere bravo a far fiorire il giardino. poi, dalla teoria alla pratica il discorso si complica, ma sembra io non sia nato per soluzioni semplici.

martedì 12 novembre 2013

ti vedo e penso, cap. I

una delle capacità aggiuntive che acquisisci nel momento in cui ne perdi una vitale, è quella di leggere l'espressione facciale di chi ti sta di fronte quando ti incontra per la prima volta. e ne leggi delle belle.

a volte leggi un imbarazzo estremo, qualcosa del tipo: "Oddìo, un mezzo disabile. e ora cosa gli dico a questo? devo cercare di non fissarlo altrimenti poi chissà cosa pensa..."

alle volte leggi l'indifferenza fatta persona, e mai come in questo caso la cosa provoca gioia e l'approccio al dialogo più semplice del mondo.

a volte, brutto dirlo, ma leggi anche lo schifo, il volto di chi ti squadra dall'alto in basso e ti guarda con una espressione giudicante, che sembra voler imputare la tua condizione ad una colpa non ben precisata.

abitando in un piccolo paese, mi è capitato anche di incontrare il tizio che palesemente dovrebbe vedere revocato il suo diritto alla parola. me ne ricordo uno nella sala d'aspetto dell'ospedale, in fila per andare dal medico di famiglia. posto che magari non a tutti regala lo slancio per raccontare le patologie che li affanna. e il sentirsi incalzare insistentemente con: "Ma tu se il figlio di..., sei quello un po' ZOPPETTO", obbliga a chiederti con che criteri Vostro Signore distribuisca la parola. un genio, davvero. non me l'avesse detto lui che sono claudicante, mica lo so se me ne sarei potuto accorgere da solo...

di recente mi è capitato anche di scambiare alcune parole con un musicista, un girovago, che di tanto in tanto passa per un caffè al bar. "E' un po' che ti vedo con la stampella". all'inizio, come sempre, non snocciolo certo la cartella clinica, poi se una persona insiste garbatamente, spiego un po' la situazione. al che si scusa per l'invadenza (ma figurati), poi, mi fa un "in bocca al lupo" per le fisioterapie che sostengo. una gentilezza per nulla scontata. una gentilezza che da quando lavoro di palestra (un anno e mezzo ormai) solo due persone, per altro praticamente sconosciute, hanno avuto.

poi ci sono le signore un po' anziane che antepongono una preghiera a tutto. io direi loro di risparmiare tempo, ma a modo loro sono gentili. un po' meno quando escono con esternazioni del tipo: "vabbè, ma forse una che ti vuole bene la trovi lo stesso..." (grazie, mi sento sollevato).

e in effetti poi c'è il rapporto col gentil sesso. e se dimostri un certo interesse all'improvviso la donna di fronte a te diventa cintura nera di cazzate e ne spara che neanche Silvio i giorni belli, trattandoti come l'ultimo dei ritardati. ne parlerò a parte.

c'è la persona che non vedi da parecchio tempo. in questo caso però sono io un po' in difficoltà. hai lasciato una persona che stavi giocando a pallavolo e ti ritrova che hai l'andatura di una tartaruga obesa. l'invariabile espressione di sorpresa misto tristezza che si dipinge sul volto di chi ti sta davanti, mi sembra la cosa più logica.

in realtà di queste situazioni ce ne sono parecchie altre, ma se me sparo tutte adesso poi che scrivo?

mercoledì 6 novembre 2013

il primo giorno

e alla fine ci fu il ricovero. dire che quel giorno mi sentii spaesato è un eufemismo. che cosa ci favevo lì? perchè dovetti indossare il pigiama di buon mattino quando di solito a quell'ora avevo già lasciato Morfeo alle spalle da un pezzo? perchè all'improvviso mi sentivo come il macchinario che un tizio in camice avrebbe preso a calci per rimetterlo in moto?

dai miei genitori non ebbi una sola parola di conforto nè di incoraggiamento. non ne sono mai stati capaci. a livello materiale non mi è mancato mai nulla, a livello umano ho dovuto imparare ben presto a pensare da solo al mio benessere. a loro discolpa posso dire che in quel periodo stavamo attraversando una situazione famigliare che se la raccontassi qui, qualcuno potrebbe pensare che questa sia il frutto di una fervida immaginazione di uno scrittore in evidente stato di ebbrezza.

ebbi modo la sera stessa di scaricare la tensione al telefono con un amico. e via via, nei giorni seguenti con gli altri. ero al quinto/sesto piano. dall'ampia sala d'ingresso, al tramonto, guardavo dall'ampia vetrata medici ed infermieri che se ne andavano, lasciando l'ospedale in un silenzio surreale. e non è che avessi tutta questa voglia di rientrare. non so se avete mai visto un reparto di neurologia. non è proprio quello spettacolo per cui ti metti seduto col pop-corn in mano e la gamba accavallata ad osservare. però a poco a poco ci feci l'abitudine e iniziai a scorgere un mondo pieno di problemi che non avevo preso mai in considerazione. probabilmente prima ero vissuto per troppo tempo in un mondo dorato nel quale le favole finiscono tutte col lieto fine, quando invece l'orco cattivo è in ogni angolo, in ogni cantuccio, pronto a saltare fuori e a sovvertire ogni certezza.

nonostante questo, non mi è passato nemmeno un attimo per la testa la possibilità che stesse succedendo qualcosa di spiacevole. sentivo incessantemente ripetersi nella mia testa: "è solo un momento storto, tutto si sistemerà al meglio, perchè è ovvio che a te le cose non possono andare male". un pensiero magico. infantile. che albergava ovviamente in una mente di pari livello.

a ripensarci oggi, mi verrebbe da dire che non tutto il male viene per nuocere. potrà sembrare un luogo comune, ma il tutto è servito un po' anche a maturare. mi rendo conto che forse non ero proprio un esempio di vivida intelligenza all'epoca. forse dico così perchè non mi è andata proprio male e se avessi avuto qualcosa di peggiore non sarei qui a filosofare. d'altra parte sono qui per raccontare una storia, non per creare proseliti.

domenica 3 novembre 2013

empatie

quando la vita ti regala una rogna gigantesca, inevitabilmente inizi a vedere tutto (ma proprio tutto) sotto una luce differente, valutando le cose da un altro punto di vista, che prima magari ti era estraneo. così inizi a provare un fastidio immenso per tutte quelle persone che piangono per questioni puerili, e ti rendi conto che tu, certi problemi, vorresti averli, perchè se li avessi significherebbe che la tua vita ha già fatto dei passi avanti che per adesso ti sono preclusi (qui la questione è lunga ma avrò modo di ritornarci).

allo stesso tempo però, tieni a freno quella voglia di sfanculare tutti, perchè ti rendi conto che a volte la gente soffre tantissimo per cose che a te non fanno neanche il solletico. e la sofferenza non si misura. probabilmente se non mi fosse successo tutto questo, anche io avrei fatto mille storie per cose banali, e forse le facevo (vai a ricordare...).

insomma, sofferenze per malattie, per amore, per soldi, per lavoro. 

così mi ritrovo pure ad essere io a consolare un'amica che passa un periodo travagliato a causa di una storia finita malissimo, e che l'ha vista sconfitta e con le ossa rotte. la sua rabbia è quasi urlata, benchè scritta nelle brevi frasi di una chat, la sua necessità di sfogarsi e il suo bisogno di avere qualcuno con cui parlare è palese. è ovvio che il peso della situazione le sta facendo del male. poi alla fine, quando un po' si è calmata ed abbiamo avuto modo di scambiare opinioni, esce con la costante:

"eppoi lo dico a te, che in confronto ai tuoi problemi è poca cosa e mi sento una cretina"

sta cosa di trattarmi come uno svantaggiato, come un cucciolo da accudire, pure durante una conversazione che nulla ha a che fare con me, è alquanto fastidiosa. è necessario ricordare ogni istante che ho un problema? è necessario pormi in una situazione di inferiorità ogni secondo? è davvero il caso di convincersi che la mia esistenza sia un continuo soffrire e che i miei problemi abbiano il sopravvento su qualsiasi sofferenza di questo mondo, senza neanche porsi il dubbio che magari io non me la stia passando così male, dopo tutto?

la ragazza con la quale stavo conversando è una delle persone più intelligenti che abbia mai incontrato. per questo, le ho risposto con un "Ma figurati, sì che io per questioni di cuore ne ho fatte poche...", senza prendermela, anche perchè il suo disagio in questo momento era fin troppo evidente.

eppure, questa cosa, mi capita spesso. non è che se uno ha una stampella o peggio è in sedia a rotelle, non deve essere chiamato in causa in certe conversazioni perchè altrimenti la sua sensibilità ne risulta ferita. ho un problema, certo. ma non è che sto a pensarci ogni secondo, non è che la mia vita non va avanti. comprendo il disagio degli altri. oltre a quello che ho io, ho la possibilità di arrabbiarmi per la società, il governo, il tempo, i semafori lampeggianti arancioni, il lavoro, la carta igienica che finisce. come tutti.

l'essere zoppo ti rallenta l'andatura. non ti uccide. e direi che c'è una bella differenza.

giovedì 31 ottobre 2013

primi passi


Nei post precedenti ho raccontato della genesi del mio problema. Insieme ai problemi, iniziarono pure le visite mediche.

Posso dire oggi, a distanza di tanti anni, che i primi approcci con gli specialisti furono tutt’altro che incoraggianti, sia dal punto di vista medico che dal punto di vista umano. Per fortuna ho avuto modo di ricredermi nel corso degli anni, dopo aver incontrato professionisti gentili e disponibili. Ma se il buon giorno si vede dal mattino… intendiamoci, non si dovrebbe mai dimenticare che il medico è un essere umano, e che come tutti gli esseri umani ha una vita privata che gli procura gioie, dolori, pensieri e tutta quella gamma di emozioni che potrebbero condizionare la sua esistenza professionale (e quindi da bravi pazienti, bisognerebbe rompere i coglioni il meno possibile che loro sono appunto medici, non centralinisti di una chat per cuori solitari). E inoltre, io preferisco che un dottore rimanga distaccato, anche perché nel momento in cui si trovi a dover prendere una decisione importante è sempre meglio che non abbia sul groppone anche la componente emozionale derivata dall’instaurarsi di un rapporto profondo col paziente stesso.

Detto questo, un conto è rimanere distaccato, un conto è essere stronzo e guardare con sufficienza e dall’alto in basso un paziente in evidente confusione, che a causa di una situazione anomala cerca di dipanare una matassa intrecciata senza nemmeno saper bene a che santi rivolgersi.

Il neurologo è uno specialista che si occupa dei sintomi acuti. Nel senso che di solito le patologie che rientrano nel novero delle sue competenze non sono curabili (spesso neanche trattabili) a lungo termine, a meno che non gli venga sottoposto un di mal di testa o patologie comuni. È un compito ingrato lo ammetto. Per questo le visite si assomigliano tutte (e ho avuto modo di verificare la veridicità di questa affermazione) e si basano su semplici test i cui nomi altisonanti (il Romberg, il segno di Babinky) nascondono reazioni corporee a volte visibili anche ad occhio nudo.

Nella mia mente, stavo iniziando ad associare delle sensazioni strane provate nei mesi precedenti a quanto stava diventando ora palese. Il problema è che tali sensazioni avrebbero potuto essere facilmente scambiate per sintomi di stress o normale stanchezza. Uno spasmo muscolare, una leggera sensazione di sbandamento notturno (ma non diurno). I sintomi evidenti erano sbocciati nelle settimane precedenti, ma quando feci notare che ero arrivato alla conclusione che il tutto era iniziato mesi prima, il tizio mi scagliò contro una invettiva da prete inquisitore, e sintetizzando il tutto mi disse che ero stato un coglione per non essermi rivolto a lui in prima istanza.

Sfido chiunque, soprattutto persone che come me hanno fatto sport, ad immaginarsi l’imminenza di una malattia rara nel momento in cui avverti uno spasmo muscolare. In quattordici anni di pallavolo sapeste gli infortuni muscolari (tutti lievi per fortuna) che ho avuto. Tutti, e dico tutti, identici a suddetti spasmi muscolari.

“La farò ricoverare il prima possibile”. Il lunedì successivo per la precisione.

lunedì 28 ottobre 2013

ogni tanto, un bastone tra le ruote


allo stato attuale delle cose, la mia routine quotidiana è riempita con un intenso programma di fisioterapia (questione sulla quale ritornerò). anche se lo scopo è differente, tutto questo lavoro non è dissimile da un qualsiasi allenamento sportivo, anche per quel che riguarda infortuni, effetti collaterali ed imprevisti.

in questo caso è l'imprevisto a creare problemi, nello specifico una recrudescenza di una simpatica discopatia con la quale saltuariamente mi ritrovo a relazionarmi, o per meglio dire mi ritrovo a denti stretti a criticare il pessimo senso dell'umorismo di Vostro Signore. che ve lo dico a fare: un problema del genere riesce a stendere un normodotato, pensate uno con problemi di deambulazione. il fastidio è doppio, in quanto c'è la preoccupazione per l'improvvisa interruzione dell'attività fisica. in realtà il timore è immotivato, in quanto qualche giorno di riposo non rovinerà certo il lavoro fin qui svolto, ma ovviamente, se guardo avanti e vedo quanto ancora c'è da fare, un po' di pensieri vengono.

alla fine sono riuscito a portare avanti un lavoro soft, anche se ogni volta che mi sedevo o dovevo alzarmi vedevo le classiche stelle girarmi intorno la testa. per non parlare della notte, in cui mi svegliavo in preda ai dolori ed ero obbligato a fare allungamento per alleviare i sintoni.

sabato la visita dal fisioterapista che ha "risolto" il problema. ora sento ancora un po' di dolore ma nulla di paragonabile alla settimana scorsa. questo per dire che chi ha qualche problema non comune, non è esentato dai problemi comuni. ho sperimentato nella mia vita il caso in cui alcune persone mi rimproveravano il fatto di dire di soffrire di dolori di schiena, perchè secondo loro era un maldestro tentativo di dissimulare la mia condizione. e tentare di spiegargli che una persona con un problema ad un nervo è soggetto a raffreddori, influenza, e tutte le malattie di questo mondo, è stata un'impresa ardua.

poi c'è l'errore in cui spesso cade chi ha qualche problema particolare: quello di piangersi addosso, quello di dire: "Ma insomma, tutto a me deve succedere?". è uno sbaglio grave caro amico. ti succedono le cose che capitano a chiunque, ma in più hai un problema che accentua la tua condizione di disagio. non sarà inneggiando alla malasorte che risolverai i problemi. la vita non è giusta, chi ti ha messo in testa questa stupida idea? c'è qualcuno a cui va tutto bene e non merita un cazzo, c'è qualcuno che deve affrontare salite impervie. e allora? prendi il fagotto e affronta quella salita maledetta. quando sarai arrivato in cima, voltati e guarda il tizio più fortunato di te che ancora è là in fondo.

mercoledì 23 ottobre 2013

la genesi di una sfiga


tutto ebbe inizio il pomeriggio assolato di alcuni anni fa.

come spesso mi accadeva (e con sommo piacere), ero solito approfittare della strada di campagna sopra casa mia per una piacevole corsa all'aperto. durante l'anno ero chiuso in palestra per gli allenamenti con la mia squadra di pallavolo, mentre d'estate, spesso pentendomi dei miei peccati di gola invernali, mi proponevo regimi da sportivo serio (propositi poi puntualmente disattesi). poco importa alla fine. il ritornare a casa, sudato, con i polmoni che si erano aperti e che lasciavano passare quel retrogusto di erba fresca dei campi, aveva davvero pochi paragoni.

eppure, quella fu la mia entrata nel mondo dei cosiddetti disabili. ora, a distanza di tanti anni e con tanta acqua passata sotto i ponti, posso affermare con una certa autorevolezza che quando si parla del sottoscritto, si fa riferiemento ad un "disabile" piuttosto figo (eddai, sarò troppo immodesto?), una sorta di Dr. House nostrano, non dotato dello stesso cinismo, ma dopo aver visionato tutte ed otto le serie del telefilm, sicuro di aver attraversato la maggior parte delle fasi psicologiche che i sapienti narratori hanno descritto (per esperienza diretta avrei qualcosa da ridire sulla scioltezza del seppur claudicante dottor casa, ma insomma non penso che questo tolga fascino alla serie tv).

torniamo a quelle corse. il primo tratto di strada è una discesa lunga e piuttosto ripida. notai che qualcosa non andava. avevo come l'impressione di essere un po' teso. fermai la corsa e mi misi a camminare. non diedi troppo risalto alla cosa. un po' perchè non si dovrebbe iniziare a bomba una qualsiasi attività fisica, ed un po' perchè appena la strada si fece pianeggiante, iniziai a correre senza problemi affrontando i successivi saliscendi come sempre.

eppure, in un paio di occasioni, mi fecero notare che stavo zoppicando. "Ti sei fatto male?". "No, perchè?". in pratica non me ne accorgevo, ma qualcosa aveva già iniziato subdolamente ad incunearsi nella mia esistenza. anche se non sentivo dolori, nè avessi l'impressione che qualcosa non andasse, decisi di farmi visitare. inizialmente da un fisiatra. ma questi, constatato che a livello fisico andava tutto bene, mi consigliò una visita neurologica.

l'inizio di un calvario. che per adesso tengo più o meno bene sotto controllo, con le difficoltà del caso dovute alla cronicità della situazione, ma che non mi permette di poter avere troppi momenti di debolezza. tanto per chiarire subito: nella mia condizione si vive, ed anche bene. sembra che nella sfiga, non mi sia andata troppo male (una toccatina è d'obbligo che il futuro è incerto per chiunque, figuriamoci per uno come me), ma c'è stato un percorso duro, in salita, perchè tante cose le ho dovute reimparare e tante ne sto imparando anche adesso. iniziare a scriverne, forse aiuterà a mettere un po' d'ordine.