mercoledì 27 novembre 2013

happy family

mesi e mesi di lavoro interiore per ricostruirsi una parvenza di autostima. fisioterapie, rinunce e inaspettati piccoli successi. perseveranza, insistenza e costanza, il tutto in un unico mix necessario a dimostrare che ci sei, che il cambiamento di piani non ti ha fiaccato del tutto. che puoi farcela, in una maniera differente, ma puoi farcela.

tutto questo comporta un enorme dispendio di energie. energie che sono incanalate in quell'unica via in cui ti sei gettato a capofitto, e che non si disperdono perchè stai utilizzando dei paraocchi che non devono in nessun modo farti perdere di vista la riga mezzana sull'asfalto.

ma, cazzo. anche il viaggiatore compulsivo si deve fermare di tanto in tanto. fermarsi al primo autogrill per le proprie deiezioni. e per poi prendersi il panino Camogli. per poi uscire seguendo il percorso che ti porta di fronte ai banchi delle specialità regionali. e queste specialità, l'acquolina in bocca te la fanno venire sempre. anche se il tuo Camogli è già stato indirizzato per le oscure vie del tubo digerente.

così, anche l'uomo la cui autostrada si intreccia coi cavalcavia dalla pendenza del 30% causati dalle impervie fisioterapie, si ferma nella piazzola di sosta di una cena tra amici. che onestamente all'inizio mi sarei evitato. paure, paranoie e ipocondrie. e anche perchè la prospettiva della famiglia del mulino bianco a volte spaventa. soprattutto quando vivi come il Gobbo di Notre Dame. però sei stato il testimone di nozze del suo matrimonio, ed è da mesi che non vi vedete. e poi, devi pure affrontare il mondo là fuori.

appena arrivo, scendo dall'auto e sotto la pioggia battente mi dirigo all'ingresso. mi accoglie la figlia, quasi treenne. una esplosione di gioia. la tv è puntata su un qualche canale che trasmette cartoni animati. il padre abbraccia la figlia e la alza. mi dice che il lavoro che svolge è duro, però quando torna a casa e la vede correre, manda a fanculo il resto e si sente felice. il suo sorriso è limpido, sincero. come non ne vedevo da tempo. vedo quella semplice normalità che per ora mi è preclusa. perchè la mia vita attuale è segnata da diverse costrizioni. il lavoro di fisioterapia innanzi tutto. che è necessario. ancora di più da quando i risultati si sono visti. però il tutto occupa tempo ed energie. tornare a casa e sapere di doversi mettere a fare bicicletta, vogatore, ecc. non è sempre questa immensa gioia. anche io lavoro durante il giorno e a volte torno stanco, a volte, semplicemente mi girano i coglioni. in questi giorni, mentre mi cambio e indosso la tuta, passo alcuni istanti ad incitarmi da solo. devi farlo. e basta. e quindi il fine settimana sei stremato. le forze sono al lumicino e curare la vita sociale diventa difficile. e ad una certa età, ti rendi conto che tu vorresti essere un po' come questo tuo amico. vorresti essere un banalissimo membro di una famiglia tua e non il prototipo di una macchina imperfetta che deve lavorare il triplo per ottenere briciole.

a tavola, inevitabilmente mi chiedono come sto, come procede la vita. mi dicono che se la cosa mi infastidisce posso evitare l'argomento. ma io non voglio. racconto di tutto il lavoro che faccio, dei dolorini vari che questo comporta, e del fatto che a causa di questo sono mesi che non faccio una dormita come Cristo comanda (da questo punto di vista sono come un neo-genitore, solo che lui non si alza smadonnando. forse). racconto dei problemi che incontro nel relazionarmi con la gente, di pregiudizi in cui incappo e di paure - talvolta anche infondate - che mi tormentano. gli racconto che sto attraversando un periodo in cui lo stress accumulato non ha una valvola di sfogo, che mi accendo di rabbia per quisquilie, e che trombare come un riccio aiuterebbe parecchio. per un fatto fisico ovvio e per un fattore di autostima. che comprenderebbe il fatto che la ragazza in questione è venuta con te perchè ti apprezza, perchè ha avuto la voglia di conoscerti, di approfondire il discorso, perchè per una volta alla visione di una stampella non ha pensato che tu sia una "bella persona asessuata" che si berrà ogni scusa.

"Ma riesci a trovare un po' di tempo libero per te?"
"Se va bene, un paio d'ore la settimana le trovo"
ecco. dopo questa affermazione l'ho invidiato un po' meno e la sindrome di Erode è ritornata a brillare in tutto il suo splendore. ciò non toglie che certe cose per ora le vedo lontanissime, evanescenti. quasi come quel famoso cono di luce in fondo al tunnel nelle esperienze pre-morte.

dopo tutta questa riflessione, a che conclusioni si giunge? a nulla. i "se" o i "come sarebbe stato se" ovviamente rientrano nel campo delle ipotesi non verificabili e quindi utili solo se come lavoro fai lo scrittore. ma io lavoro nel campo dell'informatica e per deformazione professionale, mi aspetto che l'output sia congruente con i dati che ho avuto in ingresso. e direi che questo riassume bene il tutto.

lunedì 25 novembre 2013

prime emozioni

il reparto neurologia di un ospedale non è proprio quello che un pittore di paesaggi sceglierebbe come soggetto. anche se a dirla tutta, ha in effetti un che di impressionista, con le ombre che diventano colori e trasformano la figura umana in un qualcosa di molto diverso da quella che sarebbe rappresentata in quadro verista. a volte l'essere umano si trasfigura e i confini rappresentati dalla sua carne si fanno troppo stretti e non riescono più a contenere quel nuovo universo.

ancora spaesato iniziavo a guardarmi intorno. uno dei compagni di stanza che ebbi nel corso di quelle due settimane, aveva con sè un televisore, segno questo che doveva essere abbastanza esperto dell'ambiente. non ci scambiammo mai una sola parola. e io i primi giorni non ero proprio quello che potrebbe definirsi un socievole conversatore. sentii in seguito i medici riuniti tra loro affermare: "Ha il midollo ridotto ad un filino sottile...", e i ragazzi della clinica universitaria, non ancora abituati a quelle consuetudini mediche, si guardarono con occhi smarriti mormorando piccole frasi compassionevoli. e io che ancora stupidamente tra me pensavo che le malattie erano cose che accadevano solo agli altri.

in un'altra stanza ebbi come vicino, tra gli altri, un marinaio abbastanza anziano con un tatuaggio su un braccio simboleggiante lo stemma degli anarchici, di una fattura evidentemente datata, di un tempo in cui tatuarsi non era certo la moda che è oggi. aveva con sè un pc portatile col quale si guardava dei film che la sua bellissima e giovane compagna e sua figlia gli portavano giorno dopo giorno. i lunghi capelli biondi della donna che scendevano fino ai vestiti floreali - un misto tra una figlia dei fiori con tonalità zingaresche ed una ambulante con le caviglie sottili non ancora provate da ore di posizione eretta - portavano un punto di rottura in quell'ambiente così triste e dimesso. fu con lui che provai ad esprimere i primi concetti, ad aprire bocca, per espellere un po' di quelle paure e di quel disagio che mi portavo dentro. ma non fui nè convincente nè accomodante, perchè dopo aver farfugliato qualcosa sul fatto che alla mia età non avrei dovuto essere lì, e soprattutto così inaspettatamente, lui chiuse il tutto con un drastico "Anche io sono stato bene fino ad adesso ed ora eccomi qui", a sottolineare l'ovvietà delle mie esternazioni. e non posso dire avesse torto. di sicuro gli devo essere risultato un grosso coglione. tant'è che fece amicizia con un altro signore ricoverato per una ischemia transitoria e la sua famiglia, e il giorno in cui fui dimesso, quando lo andai a cercare per salutarlo, scoprii che se ne era già andato, di sicuro desideroso di non vedermi più. 

mi ricordo che il primo giorno, anche la signora che passava col pranzo ebbe qualcosa da ridire sul mio atteggiamento. probabilmente le dissi qualcosa di poco gentile, ma davvero non ricordo cosa. e come avrò modo di dire, non è stata l'unica occasione in cui non ricordo qualcosa di quel soggiorno forzato. probabilmente certe forti emozioni a volte sono talmente invadenti da farci espellere quei pensieri che in certi momenti sono di troppo. però, siccome un maschio è un essere semplice (a volte oserei dire semplice come un'entità unicellulare) un segno di rinascita e di forza ci fu nel momento in cui mi resi conto che il materiale umano delle infermiere era costituito da due o tre bionde procaci, che a dispetto dell'aria condizionata tenuta ad un livello tale da simulare l'inverno siberiano (eravamo a luglio) giravano con il camice sbottonato lasciando visibili le notevoli grazie (Dio le abbia sempre in gloria).

io ero spaesato. anche un po' spaventato. ma penso si possa leggere da questo e dai post precedenti che ero anche profondamente immaturo. ero uno dei tanti che aveva ricevuto un'educazione per cui "i problemi capitano agli altri e se succede qualcosa, si nasconde, basta che tu vada in giro col sorriso ebete a dimostrare che tutto va bene". i problemi capitano, ed è necessario essere forti abbastanza per affrontarli senza piagnistei, perchè nel momento in cui noi soffriamo, molto probabilmente anche altri stanno passando pene simili alle nostre e queste persone non possono evidentemente farsi carico di noi. ma allo stesso tempo, dissimulare è stupido. far finta di non avere un disagio è ridicolo. in una situazione di difficoltà, mostrare un dignitoso disagio non è motivo di vergogna nè di umiliazione. ma di strada ne avevo ancora tanta da fare.

lunedì 18 novembre 2013

ti vedo e penso cap.II

un discorso a parte lo meritano i bambini. magari li vedi che giocano, ribaltano il mondo, poi si fermano e ti osservano. vedono che c'è qualcosa di diverso da quello che hanno sempre visto e ti chiedono spiegazioni. se tu educatamente gliele dai, loro constatano la novità e riprendono a fare quello che facevano prima. così ho pensato ai bambini che crescono in classi multietniche. a loro di solito non importa se quel loro compagno di giochi ha la pelle scura o gli occhi a mandorla. vedono che fisicamente sono diversi e stica. il problema nasce quando il bambino ha un genitore stronzo. in quel caso lì allora son guai. perchè il genitore tende a nascondere le diversità o a pitturarle come una anomalia, così il bambino che non si era mai posto certe domande, ora ha un problema da risolvere e cioè compiacere l'adulto. anche a me è capitato il bambino che dopo aver aperto bocca si ritrova un genitore col terrore dipinto sul volto a ricordargli che certe cose non si fanno. è una minchiata ovviamente. far credere ai bambini che al mondo non esistano problemi equivale a fargli credere che viviamo in una favola, e quando poi i problemi effettivamente arrivano (perchè arrivano, quanto consistenti non si sa, ma arrivano) spesso si trovano impreparati e prendono la rogna come una ingiustizia, non come un qualcosa che poteva succedere e alla quale ci si doveva preparare.

poi ci sono gli adolescenti e i post(?)-tardo(?) adolescenti (qualli un po' più vecchi, come si definiscono?). con quelli sono io ad avere problemi. mi sento in difficoltà, tremo un po', le gambe si irrigidiscono per il nervosismo e l'andatura ne risente (è un effetto collaterale che ben conosco e che sto cercando di affrontare al meglio). le volte in cui è successo, in realtà questi ragazzi stavano pensando ai fatti loro, il problema è tutto mio. ho cercato di capire il nesso che intercorre tra il mio nervosismo e la loro vista e forse una risposta sono riuscito a darmela. quando vedo ragazzi di quell'età, proietto il me stesso attuale verso il me stesso adolescente. come tutti, mi sentivo invincibile, nulla mi turbava. osservavo la vecchiaia e la vedevo quasi come un errore dell'anziano stesso, non come una inevitabile tappa dell'esistenza. e ora, quando guardo questi ragazzi, mi immedesimo nei loro pensieri e vedo un me stesso più fragile, di sicuro più consapevole ma in qualche modo ferito, e sento quel senso di invincibilità gravarmi sulle spalle, schiacciandomi.

con l'altro sesso...beh, da quando ho questo problema il numero di fan è miseramente crollato. onestamente, non penso neanche sia una cosa strana o cattiva. ognuno di noi cerca nel partner quella componente di sicurezza che io ad un primo sguardo non posso offrire. ciò non mi giustifica. se voglio che in un giardino ci vengano le api, devo fare in modo che ci siano i fiori. lo stesso vale per me. devo essere bravo a far fiorire il giardino. poi, dalla teoria alla pratica il discorso si complica, ma sembra io non sia nato per soluzioni semplici.

martedì 12 novembre 2013

ti vedo e penso, cap. I

una delle capacità aggiuntive che acquisisci nel momento in cui ne perdi una vitale, è quella di leggere l'espressione facciale di chi ti sta di fronte quando ti incontra per la prima volta. e ne leggi delle belle.

a volte leggi un imbarazzo estremo, qualcosa del tipo: "Oddìo, un mezzo disabile. e ora cosa gli dico a questo? devo cercare di non fissarlo altrimenti poi chissà cosa pensa..."

alle volte leggi l'indifferenza fatta persona, e mai come in questo caso la cosa provoca gioia e l'approccio al dialogo più semplice del mondo.

a volte, brutto dirlo, ma leggi anche lo schifo, il volto di chi ti squadra dall'alto in basso e ti guarda con una espressione giudicante, che sembra voler imputare la tua condizione ad una colpa non ben precisata.

abitando in un piccolo paese, mi è capitato anche di incontrare il tizio che palesemente dovrebbe vedere revocato il suo diritto alla parola. me ne ricordo uno nella sala d'aspetto dell'ospedale, in fila per andare dal medico di famiglia. posto che magari non a tutti regala lo slancio per raccontare le patologie che li affanna. e il sentirsi incalzare insistentemente con: "Ma tu se il figlio di..., sei quello un po' ZOPPETTO", obbliga a chiederti con che criteri Vostro Signore distribuisca la parola. un genio, davvero. non me l'avesse detto lui che sono claudicante, mica lo so se me ne sarei potuto accorgere da solo...

di recente mi è capitato anche di scambiare alcune parole con un musicista, un girovago, che di tanto in tanto passa per un caffè al bar. "E' un po' che ti vedo con la stampella". all'inizio, come sempre, non snocciolo certo la cartella clinica, poi se una persona insiste garbatamente, spiego un po' la situazione. al che si scusa per l'invadenza (ma figurati), poi, mi fa un "in bocca al lupo" per le fisioterapie che sostengo. una gentilezza per nulla scontata. una gentilezza che da quando lavoro di palestra (un anno e mezzo ormai) solo due persone, per altro praticamente sconosciute, hanno avuto.

poi ci sono le signore un po' anziane che antepongono una preghiera a tutto. io direi loro di risparmiare tempo, ma a modo loro sono gentili. un po' meno quando escono con esternazioni del tipo: "vabbè, ma forse una che ti vuole bene la trovi lo stesso..." (grazie, mi sento sollevato).

e in effetti poi c'è il rapporto col gentil sesso. e se dimostri un certo interesse all'improvviso la donna di fronte a te diventa cintura nera di cazzate e ne spara che neanche Silvio i giorni belli, trattandoti come l'ultimo dei ritardati. ne parlerò a parte.

c'è la persona che non vedi da parecchio tempo. in questo caso però sono io un po' in difficoltà. hai lasciato una persona che stavi giocando a pallavolo e ti ritrova che hai l'andatura di una tartaruga obesa. l'invariabile espressione di sorpresa misto tristezza che si dipinge sul volto di chi ti sta davanti, mi sembra la cosa più logica.

in realtà di queste situazioni ce ne sono parecchie altre, ma se me sparo tutte adesso poi che scrivo?

mercoledì 6 novembre 2013

il primo giorno

e alla fine ci fu il ricovero. dire che quel giorno mi sentii spaesato è un eufemismo. che cosa ci favevo lì? perchè dovetti indossare il pigiama di buon mattino quando di solito a quell'ora avevo già lasciato Morfeo alle spalle da un pezzo? perchè all'improvviso mi sentivo come il macchinario che un tizio in camice avrebbe preso a calci per rimetterlo in moto?

dai miei genitori non ebbi una sola parola di conforto nè di incoraggiamento. non ne sono mai stati capaci. a livello materiale non mi è mancato mai nulla, a livello umano ho dovuto imparare ben presto a pensare da solo al mio benessere. a loro discolpa posso dire che in quel periodo stavamo attraversando una situazione famigliare che se la raccontassi qui, qualcuno potrebbe pensare che questa sia il frutto di una fervida immaginazione di uno scrittore in evidente stato di ebbrezza.

ebbi modo la sera stessa di scaricare la tensione al telefono con un amico. e via via, nei giorni seguenti con gli altri. ero al quinto/sesto piano. dall'ampia sala d'ingresso, al tramonto, guardavo dall'ampia vetrata medici ed infermieri che se ne andavano, lasciando l'ospedale in un silenzio surreale. e non è che avessi tutta questa voglia di rientrare. non so se avete mai visto un reparto di neurologia. non è proprio quello spettacolo per cui ti metti seduto col pop-corn in mano e la gamba accavallata ad osservare. però a poco a poco ci feci l'abitudine e iniziai a scorgere un mondo pieno di problemi che non avevo preso mai in considerazione. probabilmente prima ero vissuto per troppo tempo in un mondo dorato nel quale le favole finiscono tutte col lieto fine, quando invece l'orco cattivo è in ogni angolo, in ogni cantuccio, pronto a saltare fuori e a sovvertire ogni certezza.

nonostante questo, non mi è passato nemmeno un attimo per la testa la possibilità che stesse succedendo qualcosa di spiacevole. sentivo incessantemente ripetersi nella mia testa: "è solo un momento storto, tutto si sistemerà al meglio, perchè è ovvio che a te le cose non possono andare male". un pensiero magico. infantile. che albergava ovviamente in una mente di pari livello.

a ripensarci oggi, mi verrebbe da dire che non tutto il male viene per nuocere. potrà sembrare un luogo comune, ma il tutto è servito un po' anche a maturare. mi rendo conto che forse non ero proprio un esempio di vivida intelligenza all'epoca. forse dico così perchè non mi è andata proprio male e se avessi avuto qualcosa di peggiore non sarei qui a filosofare. d'altra parte sono qui per raccontare una storia, non per creare proseliti.

domenica 3 novembre 2013

empatie

quando la vita ti regala una rogna gigantesca, inevitabilmente inizi a vedere tutto (ma proprio tutto) sotto una luce differente, valutando le cose da un altro punto di vista, che prima magari ti era estraneo. così inizi a provare un fastidio immenso per tutte quelle persone che piangono per questioni puerili, e ti rendi conto che tu, certi problemi, vorresti averli, perchè se li avessi significherebbe che la tua vita ha già fatto dei passi avanti che per adesso ti sono preclusi (qui la questione è lunga ma avrò modo di ritornarci).

allo stesso tempo però, tieni a freno quella voglia di sfanculare tutti, perchè ti rendi conto che a volte la gente soffre tantissimo per cose che a te non fanno neanche il solletico. e la sofferenza non si misura. probabilmente se non mi fosse successo tutto questo, anche io avrei fatto mille storie per cose banali, e forse le facevo (vai a ricordare...).

insomma, sofferenze per malattie, per amore, per soldi, per lavoro. 

così mi ritrovo pure ad essere io a consolare un'amica che passa un periodo travagliato a causa di una storia finita malissimo, e che l'ha vista sconfitta e con le ossa rotte. la sua rabbia è quasi urlata, benchè scritta nelle brevi frasi di una chat, la sua necessità di sfogarsi e il suo bisogno di avere qualcuno con cui parlare è palese. è ovvio che il peso della situazione le sta facendo del male. poi alla fine, quando un po' si è calmata ed abbiamo avuto modo di scambiare opinioni, esce con la costante:

"eppoi lo dico a te, che in confronto ai tuoi problemi è poca cosa e mi sento una cretina"

sta cosa di trattarmi come uno svantaggiato, come un cucciolo da accudire, pure durante una conversazione che nulla ha a che fare con me, è alquanto fastidiosa. è necessario ricordare ogni istante che ho un problema? è necessario pormi in una situazione di inferiorità ogni secondo? è davvero il caso di convincersi che la mia esistenza sia un continuo soffrire e che i miei problemi abbiano il sopravvento su qualsiasi sofferenza di questo mondo, senza neanche porsi il dubbio che magari io non me la stia passando così male, dopo tutto?

la ragazza con la quale stavo conversando è una delle persone più intelligenti che abbia mai incontrato. per questo, le ho risposto con un "Ma figurati, sì che io per questioni di cuore ne ho fatte poche...", senza prendermela, anche perchè il suo disagio in questo momento era fin troppo evidente.

eppure, questa cosa, mi capita spesso. non è che se uno ha una stampella o peggio è in sedia a rotelle, non deve essere chiamato in causa in certe conversazioni perchè altrimenti la sua sensibilità ne risulta ferita. ho un problema, certo. ma non è che sto a pensarci ogni secondo, non è che la mia vita non va avanti. comprendo il disagio degli altri. oltre a quello che ho io, ho la possibilità di arrabbiarmi per la società, il governo, il tempo, i semafori lampeggianti arancioni, il lavoro, la carta igienica che finisce. come tutti.

l'essere zoppo ti rallenta l'andatura. non ti uccide. e direi che c'è una bella differenza.